IL CIRCO

2024.06.27

Una volta da piccolo ho chiesto ai miei genitori di portarmi al circo. Fra tutti i numeri dello spettacolo il più affascinante e impressionante per me era stato quello dei trapezi volanti. Un uomo e una donna che volavano altissimi e leggeri, da un pilone all'altro, si prendevano, si lasciavano, una meraviglia così in alto, ai miei occhi di bambino erano come fuochi d'artificio viventi. Era pericoloso come tutti gli altri numeri, anzi di più, ma i loro movimenti erano calmi e sicuri, armonici e fluttuanti, nessuno schiocco di frusta, nessun ruggito, niente fuoco, solo armonia, volo e respiro. Ero rapito e ipnotizzato con il naso insù, quando annunciano che sta per arrivare il momento più rischioso dell'esibizione. Rullo di tamburi, partono entrambi e si spingono forte sull'altalena. L'acrobata uomo si lancia, esegue tre giri della morte talmente rapidi che non era possibile contarli, io lo so solo perché era stato annunciato dal direttore in pista con il microfono in mano, ma quando arriva per afferrare alle mani della compagna, perde la presa, la mano scivola e lui precipita pesante e immediato in verticale sulla rete di protezione. Quella caduta secca e fulminea ha portato il cuore in gola a tutti noi del pubblico. Il taglio netto di trattoria del corpo in volo dell'acrobata era come quello degli uccelli che vengono colpiti da un proiettile. L'eleganza della natura viene umiliata crudelmente dall'errore umano. La caduta era stata violenta come un'accetta che spacca un ciocco di legno, inaspettata come un black out, l'atterraggio scomposto era in totale contrasto con l'armonia leggera della loro meravigliosa coreografia volante. Il pubblico è terrorizzato, l'acrobata donna si mette preoccupata sul trespolo in alto sul suo pilone e tutti gli artisti del circo escono in pista per soccorrere il trapezista caduto. Lo aiutano a scendere e io posso notare che ha assunto un incarnato di colore grigiastro. Il direttore del circo, prima sempre sorridente, brillante e frizzantino, ora parla a bassa voce allontanando il microfono dalla bocca, leggermente curvo e visibilmente molto preoccupato chiede si porti una coperta per coprire l'acrobata. Altro dialogo che noi del pubblico non sentiamo fra il direttore e lo sfortunato trapezista ma che possiamo capire dai loro movimenti: mi dispiace molto, non ti preoccupare capita. Chiama qualcuno dietro le quinte, lo fa portare via e si rivolge al pubblico, scusandosi e dicendo che lo spettacolo continuerà con altri numeri, si sincera che tutto vada bene, lo tranquillizzano. La trapezista comincia a scendere le scalette e il direttore a introdurre il nuovo numero quando, colpo di scena, lui rientra, il pubblico non fiata. Si avvicina al direttore e gli parla all'orecchio. Lo vuole rifare, vuole rifare il numero, vuole riprovare. Anche qui non si sentivano le parole ma era chiaro a tutti noi che fosse questo il punto. Il direttore ascolta con un sorriso assente e imbarazzato e poi al microfono verso tutti noi cerca di dissuaderlo dicendo che non c'è bisogno, che il pubblico è buono e l'ha perdonato per lo spavento che gli ha fatto prendere e adesso può andare a riposarsi: "Vero che gli vogliamo bene lo stesso"? Tutti ridono e incoraggiati dal direttore del circo fanno un applauso al coraggioso trapezista, tutti ma io no, non so se fu sadismo ma io lo volevo vedere riprovare. Il direttore sta per andare oltre e presentare il nuovo numero ma il trapezista non si muove, lo vuole fare, e sta in piedi impalato a fissare il direttore, lo vuole fare, è chiaro. Non parla, non supplica, non prega, sta fermo. Era a tutti chiaro che non se ne sarebbe andato fino a che non avesse riprovato. Per quello che era la mia suggestione non c'entravamo neanche più noi come pubblico, neanche il circo o lo spettacolo, quella era una sfida che aveva con se stesso, io cominciavo a sentire gli squilli delle trombe della battaglia nella mia mente, una scena di un romanticismo epico. Silenzio. Il direttore cerca di ignorare la sua presenza e continuare lo spettacolo ma è chiaro che noi siamo tutti a guardare il suo silenzio e immobilità. A questo punto il direttore si rende conto che noi vogliamo lui, quello che provavo io lo provavano tutti nel pubblico. Il direttore si rassegna e, facendosi il segno della croce, gesto scaramantico che la religione offre in sostituzione della molto più greve grattata di palle, acconsente. L'acrobata sale sul pilone e si mette nel trespolo di partenza. La sua compagna, che per tutto il tempo è rimasta aggrappata alla scaletta a metà strada in attesa di conoscere le sorti del numero, raggiunge nuovamente la sua postazione. Noi applaudiamo ancora e i due protagonisti si guardano con fiducia che io traducevo in amore. Un amore tenero e tenace, non passionale, quell'amore che non divora, quello che protegge. Non trapelava nessuna seppur legittima paura, i loro corpi erano fiduciosi e decisi. La decisione fiduciosa dopo il fallimento è sempre commovente. Un altro applauso di incoraggiamento del pubblico emozionato e poi ricominciano a volare. A terra, nella pista, c'erano tutti, i tecnici, gli artisti, il direttore e, anche se non ci credete, c'erano pure i cani le tigri e gli elefanti a guardare. Il volo comincia ma senza musica questa volta perché anche i musicisti erano col naso all'insù e il fiato sospeso. A parte i due acrobati nessuno nel circo muoveva un muscolo. L'atmosfera era cambiata completamente, era fiera e cruda realtà, nessun orpello e nessuna traccia di spettacolo questa volta. Si sentiva solo il rumore delle corde che si tendevano, come quello delle barche a vela, il battito sordo delle mani che si afferravano, i loro respiri marcati come quelli dei pugili quando colpiscono o dei tennisti. Arrivati al punto in cui prima avevano sbagliato, tre giri della morte, fiato sospeso, questa volta la presa riesce. Mentre loro penzolano trionfanti tutto il circo, spettatori e artisti, è in piedi che urla e applaude. Il numero si chiude nell'entusiasmo incontenibile per il prodigio e per l'eroe. Alla fine dello spettacolo chiedo ai miei genitori di portarmi a conoscere gli artisti, volevo conoscerli, certo, ma la mia era una strategia più elaborata. Mi sono fatto fare gli autografi e ho detto che anche io volevo diventare un artista del circo. Ecco la mia strategia: era sabato sera, il giorno dopo avevano annunciato che ci sarebbe stato lo spettacolo della domenica pomeriggio e sapevo per certo che in miei genitori non mi ci avrebbero portato ancora, ma io, da solo, in bicicletta per i campi ci sarei potuto arrivare, loro mi avrebbero riconosciuto e mi avrebbero fatto entrare gratis. Il giorno dopo mi sono presentato, tutto sudato con solo il mio cane Ronni a scortarmi e portandomi anche il loro volantino autografato come lasciapassare, o come documento di riconoscimento nel caso ce ne fosse stato bisogno. Nessun bisogno il mio piano era riuscito alla perfezione: loro mi riconoscono subito, accarezzano il mio cane e gli danno una ciotola con un po' di acqua e tutti contenti per il loro nuovo ammiratore mi fanno entrare senza pagare. Mi riguardo tutto lo spettacolo in attesa dei trapezi volanti e cosa succede? Esattamente lo stesso incidente e la stessa riscossa del giorno prima. Lo stesso errore, la stessa paura, lo stessa apprensione, la stessa voglia di riscossa, la stessa suspense, la stessa vittoria, esattamente la stessa avventura.Ecco, questa è stata la mia prima lezione di teatro. Crudele e meravigliosa. Ecco cosa ha il teatro in più delle grandi concorrenti cinema e televisione, offre la possibilità dell'imprevisto, nessun effetto speciale può sostituire questo elemento di "vita" che chi va a teatro sente. In fondo, in un angolo della nostra mente, ci aspettiamo che qualcosa di imprevisto accada, ecco perché il teatro non è morto. Prevedere la possibilità dell'imprevisto.Il prodigio del virtuosismo d'acrobata è esaltato dall'arte della recitazione, messo in risalto, negato all'inizio e poi celebrato ancor di più nell'errore rimediato che nella perfezione stessa. Era stato come "tridimensionalizzare" il disegno acrobatico, farci entrare nella vita privata dell'acrobata/attore, condividerne la paura, il turbamento, il dubbio, la riscossa, la vittoria. Che in più, per me, era una vittoria grazie all'amore che ero convinto ci fosse fra lui e lei, lui che fallisce, lei che gli dà nuovamente fiducia. Tutto costruito, niente vero. La cosa strana che mi veniva da pensare era che non mi sentivo affatto tradito o preso in giro, anzi mi sentivo grato per quella sublime costruzione finta ma reale. Quell'acrobata era diventato il mio eroe attore al punto che le sue acrobazie, per me, erano solo il contorno della sua arte attoriale, la cornice era la tecnica acrobatica, il quadro era la storia che ci aveva raccontato attraverso il dramma. In quel momento pensavo di aver capito in pochi istanti cosa voleva dire avere un sogno, lavorare sodo per realizzarlo, fallire, riprovare, avere paura, rischiare, vincere, amare. E sapevo anche che, non essendo reale ma costruito, lo potevo capire meglio. Il teatro.Oggi capisco anche che ho imparato ancora di più di quello che pensassi, il teatro è la rappresentazione dell'inadeguatezza dell'uomo nei confronti dell'esistenza, una rappresentazione comprensiva, accogliente e benevola, saggia. Come la nonna.

(incipit IO SONO UN ALTRO)